Facciamo un gran parlare di storytelling, poi arriva Nike e mette in pratica in maniera egregia. La storia è breve ed intensa. Nike ha messo in rete un video i primi di agosto e, ad oggi, è stato visualizzato oltre 32 milioni di volte. Due minuti di narrazione in cui troviamo tanti spunti di riflessione che ci aiutano a comprendere cosa vuol dire fare storytelling.
Ma partiamo con ordine: guardatevi il video (ci sono i sottotitoli in italiano, e mica solo quelli, questa è una storia per tutti).
Avete notato? La storia è avvincente, ha un ritmo strepitoso che trascina. Ma andiamo con ordine.
C’è un narratore, una guida che è il nostro punto di vista, ne abbiamo parlato qui, e che ci porta all’interno della storia. Ma poi la storia diventa più intensa, così forte che anche il nostro narratore pare perdere il controllo e si trova anche lui a vivere un’esperienza di un nuovo mondo dove i limiti sono ciò che ci lasciamo alle spalle. Dopo ne parliamo.
La storia ci racconta di un mondo ordinario di persone: il bimbo (il piccolo Daniel che si sveglia), il futuro maratoneta ma senza la giusta ambizione (frenato dai suoi limiti?), la giovane giocatrice di golf che prova il suo swing o la giovane tennista che ci regala anche un sorriso di grande ironia.
La cosa interessante è l’inaspettato ruolo del narratore, che scambia battute con i personaggi, in fondo anche lui è parte della storia.
Ora sono tutti atleti pessimi, ma un giorno faranno grandi cose.
Su questo passaggio gira la nostra storia. Non importa quello che siamo oggi, più importante quello che possiamo diventare.
Una storia funziona quando ha qualcosa da insegnare e quando quel qualcosa entra a far parte di noi e ci coinvolge. C’è un archetipo forte: l’uomo si migliora superando le sue paure e i suoi limiti.
Lo sport è l’esatta rappresentazione di questo archetipo. Nike lo ha capito e ce lo racconta.
La storia ci esalta e ci coinvolge perché ognuno di noi può essere “eroe” della sua storia e superare i suoi limiti.
Fateci caso. Nike non parla di sé, non parla dei suoi prodotti. Nike parla di eroi che affrontano la sfida dei propri limiti e che la vincono.
Avete presente quando si parla di Brand Purpose, ecco abbiamo davanti un caso pratico. Nike si esprime su valori più alti del semplice commercio, aspira a migliorare le persone, stimolarle ad essere migliori. Il brand è lì a fare il tifo per loro e a fornirgli, semmai ne avessero bisogno, gli strumenti utili. Ma non è una scarpa da tennis a fare un grande tennista, non è una scarpa da corsa a fare il maratoneta. Sono le persone a fare grandi se stesse.
Il video funziona anche per la dinamica della narrazione.
Comincia con Berry che sta vincendo la sua gara di nuoto. C’è un passaggio importante da notare. Adesso il narratore ci racconta di persone che hanno superato i propri limiti, che vivono una nuova esperienza e che hanno imparato a riconoscere i propri successi. In fondo che c’è di male a gioire delle proprie vittorie, cosa c’è di più umano di questo. Una storia acchiappa quanto possiamo riconoscerci in essa. Qui succede.
Scoprire e superare i propri limiti, nello sport come nella vita, è il fondamento di questa storia.
Nulla può fermare il piacere di migliorarsi e quando succede ci sorprendiamo di quello che siamo capaci di fare. Accade senza che ce ne accorgiamo. Ne rimane colpito anche il nostro narratore. Si sorprende del lottatore che sfida la forza bruta sul ring.
Guardate cosa dice il narratore al lottatore che sale sul ring: “Ehi amico, la storia è finita. Cosa stai facendo”. No la storia non è finita. Quando cominciamo ad esplorare i nostri limiti vuol dire che la storia è appena cominciata.
Non so se lo avete notato. Ma qui c’è un cambio di punto di vista. In realtà ora viviamo il punto di vista dei singoli eroi e delle loro sfide per superarsi. Certo sentiamo la voce del narratore, ma lui, come noi, è diventato spettatore di un nuovo mondo. Si stupisce di una ragazza che si tuffa da una scogliera, ma soprattutto non crede che si possano battere dei velocisti.
Ma più importante vive la paura di affrontare i limiti. Lo fa insieme al pubblico che vede un esperimento diabolico di un ragazzo che salta da un auto che fa un crash test e, dopo un passaggio perfetto, realizza un canestro.
C’è un messaggio importante in questo: non dobbiamo essere solo spettatori, dobbiamo essere gli eroi delle nostre vite. Non possiamo capire cosa vuol dire affrontare i limiti se non lo facciamo anche noi. Più brand purpose di questo non si può.
Nike è sport, lo sport di tutti e non solo quello dei singoli campioni. Puoi essere il primo in ogni sport? Si puoi. (minuto 2:36 cosa vi ricorda?)
Ora la narrazione può concludersi, le persone non saranno più le stesse.
Alla fine c’è lui, il ragazzo con lo skate pronto ad affrontare la sua sfida. Il viaggio dell’eroe è compiuto e egli si ritrova nel suo mondo ordinario, più ricco di esperienze e più forte… per cui “non preoccuparti”.
Ora vabbè, Nike ha tanti soldi e può permettersi le migliori menti creative, i migliori registi, attori formidabili e così via. Ma la vera cosa è che Nike ha ben chiaro chi è lei come azienda, conosce il suo pubblico e sa perfettamente cosa c’è dietro l’idea di sport.
Se vogliamo fare storytelling la cosa importante è avere consapevolezza di che azienda siamo, avere consapevolezza che il nostro mercato sono prima di tutto persone con esperienze, pensieri, relazioni, archetipi della loro vita. Capire questo non è questione di soldi e di super menti creative.
Impariamo dalla storia che Nike ci ha raccontato. Non è questione di essere grandi marche o avere soldi a palate. La questione è comprendere chi siamo e come ci relazioniamo con chi ci è vicino. Ovvero, che azienda siamo e come ci relazioniamo con il nostro pubblico.